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Colle Ameno: campo di prigionia

a cura di Cinzia Venturoli

Piantina del campo di prigionia di Colle Ameno

Piantina del campo di prigionia di Colle Ameno

Quando il 3 settembre a Cassibile venne firmato l’armistizio con gli alleati, l’Italia era occupata dalle truppe naziste e il 9 settembre i soldati tedeschi erano presenti sul territorio italiano, pronti a trasformare il loro ruolo da quello di alleati a quello di occupanti[36] avendo già prevista un’attività amministrativa militare in Italia. Il 10 settembre, quindi solo due giorni dopo l’annuncio dell’armistizio, erano ormai state emanate le direttive fondamentali per la politica di occupazione.[37]

Il 13 settembre Albert Speer ottenne da Hitler i pieni poteri così da sfruttare le risorse dell’Italia settentrionale per l’economia di guerra[38] e 4 giorni dopo venne emanato un ordine in cui i comandanti delle truppe tedesche furono invitati a «dare la caccia ai lavoratori» in modo da poter ottenere un altro mezzo milione di italiani per l’industria tedesca.[39] Lo stesso 13 settembre Hitler avallò la volontà di Fritz Sauckel di sfruttare la manodopera italiana.

L’invio di lavoratori in Germania fu poi regolato da un patto firmato fra Ran e Mussolini il 21maggio 1944 che prevedeva che venissero arruolate le classi 1920-21 per l’impiego nel Reich e metà della classe 1926 per l’agricoltura tedesca.[40] 

Le organizzazioni naziste cercavano quindi, dapprima con la propaganda per l’arruolamento volontario – che non ebbe praticamente nessun risultato - e poi con la coscrizione, le retate e i rastrellamenti, di utilizzare gli italiani, donne ma soprattutto uomini, per le esigenze lavorative sia in Germania che in Italia.

Qui, come in tutte le zone occupate dall’esercito tedesco, era presente l’organizzazione Todt [41], una struttura paramilitare che si serviva dei civili per effettuare lavori di manutenzione e di sistemazione del territorio in vista della resistenza delle truppe tedesche all’avanzata degli alleati, e che quindi venne utilizzata anche per fortificare linee di difesa quali la Gustav, la Hitler e la linea Gotica (o linea Verde). In cambio di queste attività si entrava in possesso di un permesso di lavoro che garantiva la permanenza sul territorio e, quindi, metteva al riparo dal rischio di essere deportati in Germania o avviati nell’esercito della Repubblica sociale. Nel comune di Sasso Marconi a meno di un mese dall’armistizio la Todt aveva assunto come sua sede le scuole e l’asilo comunale [42] e le truppe tedesche iniziarono a requisire nuovi alloggi, attività che si protrasse nel tempo visto che nel maggio 1944 il Podestà segnalò alla prefettura che quotidianamente si verificavano nuove occupazioni di locali da parte delle «f.f.a.a. germaniche».[43] Una prima seppure incompleta mappa della presenza germanica sul territorio del comune fra l’ottobre 1943 e l’aprile 1944 indica come la via Porrettana fosse ben presidiata: un’autorimessa e varie pompe erano state requisite, tutta la frazione di Pontecchio era occupata, ma anche nel capoluogo vi erano presenze tedesche, soprattutto in locali occupati da battaglioni dell’esercito italiano. Sempre a Pontecchio venne occupata villa Malvasia ed il Ghisiliere a Colle Ameno, dove fin dal gennaio 1944, più precisamente dal 17, era presente un comando tedesco[44] del reparto trasmissioni dell’aeronautica (Luftnachrichten-Regiment 200).[45] 

Divisa di generale della Feldgendarmerie

Divisa di generale della Feldgendarmerie

Il 27 luglio questo comando venne sostituito e nella villa si insediò un ospedale da campo (Sanitäts-Abteilung 334)[46] e in seguito venne organizzato un ospedale militare tedesco a Palazzo Rossi poco distante[47] ma la croce rossa dipinta per evitare i bombardamenti alleati non fu cancellata[48] neanche quando, il 6 ottobre 1944, si insediò qui la SS-Feldgendarmerie-Komp. 16[49], il reparto di polizia militare comandato dal sergente maggiore Friedrich Brotschy, che si faceva chiamare Fritz[50]e che divenne il protagonista assoluto delle vicende che avvennero a Colle Ameno, secondo il ricordo di chi fu internato in questo luogo. Nonostante la croce rossa indebitamente conservata, il borgo di Colle Ameno fu bombardato, ancora quando era abitato, secondo la testimonianza di Bruno Marchesi[51] e forse anche dopo l’abbandono visto che l’ala nord nel dopoguerra risultava danneggiata e pericolante a causa di eventi bellici.[52] Sul territorio italiano, le opere di fortificazione, i lavori necessari alla sopravvivenza e alla resistenza dell’esercito tedesco erano stati affidati, come si è detto, all’organizzazione Todt e anche ai Comuni delle zone interessate. In data 21 maggio 1944 il maggiore comandante dell’Ortskommandatur II ricordava ai cittadini i loro doveri verso l’“alleato occupante”.[53]

Vi prego di informare tutti gli abitanti senza distinzione di classe e di persona dei loro doveri di lavoro, e di comandare loro di presentarsi subito dopo un allarme dato da Voi, ai rispettivi comandi... Vi prego di spedirmi, fino al 31 c.m. una lista, in cui siano elencate tutte le persone abili al lavoro e i proprietari di carri e di bestiame e il numero e la grandezza di questi. Comunico pure che in caso di disubbidienza a questo ordine verranno date grandissime punizioni.[54]

Quando veniva riscontrata una qualche mancanza nell’esecuzione dei lavori richiesti, la Prefettura, cui spettava il controllo assieme alle forze armate tedesche, si faceva portavoce degli ordini. Ad esempio, nel comune di Sasso Marconi, era stata rilevata la mancanza di sentinelle lungo le strade dove erano approntate trincee per la protezione antiaerea.

Da ispezioni di recente effettuate da personale di questa Prefettura e da Ufficiali del Comando Tedesco è risultato che non tutti i Comuni hanno ottemperato gli ordini al foglio n° 2970 del 13 luglio 1944 [...]. A evitare gravi conseguenze preannunciate dal Comando tedesco in data odierna, che considera la mancata presenza di tali sentinelle come vero atto di sabotaggio, ordino di provvedere in giornata all’esecuzione delle disposizioni impartite. Qualora sorgessero difficoltà per l’assunzione del personale necessario, autorizzo i Podestà a precettare per il servizio del lavoro personale proveniente dalla F. A. in congedo, personale femminile, personale senza occupazione residente nel comune e in mancanza di queste categorie, i frontisti interessati ai tratti di strada di cui in argomento.[55]

Certificato di libera circolazione rilasciato ai lavoratori occupati presso l'esercito tedesco

Certificato di libera circolazione rilasciato ai lavoratori occupati presso l'esercito tedesco (pubblicato nell'opuscolo "Colle Ameno millenovecento 44")

I tedeschi apparivano decisamente i padroni della situazione, i fascisti repubblicani sembravano non essere altro che dei burocrati esecutori; il potere era gestito dall’esercito germanico ed i fascisti agivano, protetti nell’ombra, esercitando la loro forza soprattutto in funzione antipartigiana. Anche a livelli più alti della scala gerarchica dei poteri locali non sembra che vi siano stati atti di autonomia rispetto agli ordini dei soldati del Reich.[56] La liberazione di Roma aveva segnato un notevole peggioramento per la situazione militare tedesca e quindi la costruzione della Linea Gotica aveva assunto una importanza essenziale e questo faceva aumentare il bisogno di manodopera. Gli Alleati continuavano a guadagnare terreno e alla metà di ottobre erano a soli 20 chilometri da Bologna, quando si fermarono attestandosi sulla linea Gotica e questo permise alle truppe tedesche di sfruttare la Pianura Padana per l’economia di guerra. In agosto l’organizzazione Sauckel cercò di riprendere l’arruolamento volontario dei lavoratori da inviare in Germania, non ottenendo alcun risultato.[57] In questa situazione militare, poiché si temeva un’ulteriore rapida avanzata alleata e un’imminente perdita di Bologna, furono attivati frettolosamente tutti i programmi di distruzione, di asportazione e di deportazione: la situazione della provincia, nei mesi di agosto, settembre e ottobre 1944, divenne completamente caotica. E all’inizio dell’autunno si aggravarono notevolmente le condizioni di vita per la popolazione degli Appennini che era stata inclusa nei programmi di deportazione[58] e i rastrellamenti si intensificarono.

Ordini di evacuazione erano stati emanati sin dal 22 settembre 1943 quando Kesserling prescrisse che la costa occidentale dell’Italia centrale tra Livorno e Napoli fosse “sgombrata” dalla popolazione civile per una profondità di 5 km e considerata «zona costiera vietata», per evitare azioni di spionaggio o sabotaggio. Nella primavera 1944 circa 700.000 persone erano state trasferite a nord dalla Campagna e dal Lazio, mentre la progettata evacuazione parziale di Roma era fallita.[59] A partire da agosto la Wermacht, le Waffen SS e la polizia militare iniziarono azioni di deportazione e di spostamento di popolazione nell’immediato retro fronte, e i rastrellamenti sistematici effettuati per ordine di Kesserling raggiunsero il culmine in ottobre.[60] 
Avvennero nelle zone appenniniche i rastrellamenti più brutali, e l’unità più impegnata in questa caccia all’uomo fu la 16° divisione granatieri corazzati SS Reichsfürer che, secondo le dichiarazioni di Himmler, fino all’inizio di novembre aveva eseguito l’arresto di circa 20.000 uomini abili al lavoro.[61] Sul territorio italiano a nord della Linea Gotica vennero organizzati campi di raccolta e di transito creati dalla Wehrmacht, anche se la gestione in molti casi passò poi alle SS, e la polizia tedesca approntò, più o meno velocemente, campi di raccolta che restavano in attività anche solo per brevi periodi in funzione delle esigenze del controllo del territorio.

Il corpo di Feldgendarmerie legato alla SS fu impegnato, secondo le ricerche purtroppo ancora inedite di Carlo Gentile, in interrogatori, rastrellamenti, controlli di campi di prigionia ed uccisioni di ostaggi.[62] Fino all’aprile 1944 sul territorio del comune di Sasso Marconi vi era stata solo la presenza della Wehrmacht e della Flak; poi, dall’estate in avanti[63], vi fu un avvicendamento e le SS sostituirono o affiancarono l’esercito. La popolazione di queste zone ha ben chiara in mente la struttura organizzativa delle forze armate germaniche, nessuno confonde o accomuna esercito e truppe speciali quali le SS; per le esperienze vissute la differenza è nota a tutti: l’arrivo delle SS segnò infatti un inasprimento delle condizioni di vita.[64] 

L’esercito era composto da soldati che non sembra abbiano avuto atteggiamenti particolarmente ostili nei confronti delle popolazioni, o meglio: all’interno dell’esercito, nei ricordi, vengono distinte le varie personalità dei singoli con la presenza di persone più o meno disponibili verso i civili e nel complesso non viene segnalato un atteggiamento di deliberata crudeltà verso gli abitanti del luogo, cosa che invece viene rilevata nell’attitudine delle SS.[65] 

Non si vuole evidentemente affermare l’estraneità della Wehrmacht rispetto ad azioni criminose, essendosi anch’essa macchiata di delitti e massacri, soprattutto sul fronte orientale[66], ma si rileva, nella realtà locale, la percezione e il ricordo della popolazione. Nei primi giorni di ottobre il comando sito al Ghisiliere aveva visto quindi l’avvicendamento fra esercito e SS - Feldgendarmerie, in tutte le testimonianze si ricorda la presenza delle SS, non potendo i testimoni entrare così nello specifico e riconoscere la polizia militare delle SS.

Qui c’era l’ospedale, prima c’era la Luftwaffen, l’aviazione: io ricordo che quando c’erano loro andavamo sotto il portico a pelare le patate, loro ci davano da mangiare, prima delle SS. Fino a quell’epoca lì andavamo bene: si lavorava e si mangiava. Quando andarono via cambiò la suonata.[67]

Prima che arrivassero le SS c’erano altri tedeschi che si comportavano bene, ci trattavano bene, in una maniera civile. Questi andarono via e stavamo per trasferirci a Bologna. La mattina arrivarono le SS che ci dissero che dovevamo restare qui perché arrivavano dei rastrellati e dovevamo fargli da mangiare. Insomma ci sequestrarono.[68]

Vista aerea del complesso di Colle Ameno

Dal 6 ottobre al 23 dicembre 1944 Colle Ameno venne quindi utilizzato come campo di concentramento e smistamento per uomini di età compresa tra i 17 e i 55 anni imprigionati indipendentemente dal loro stato sociale, dal loro credo religioso o militanza politica, che venivano catturati per essere utilizzati come forza lavoro.

Questo minuscolo borgo, costruito per realizzare una sorta di città ideale come si è detto nel capitolo precedente, venne quindi trasformato in un piccolo ma efficiente campo di prigionia e di transito. Per l’inasprimento delle condizioni di vita e, in seguito, per l’ordine dei comandi nazisti, fra l’ottobre ed il novembre 1944 quasi tutto il territorio venne evacuato[69] e il 12 novembre si ebbe l’ordine di evacuazione obbligatoria del capoluogo e delle frazioni di Badolo, Batteddizzo, Vizzano, Pieve del Pino, Ancognano, S. Lorenzo, S. Leo, Iano e Lagune (versante sud-est).[70] 

Gli abitanti furono costretti a raggiungere Bologna con mezzi di fortuna, chi a piedi e chi su carri trainati dai buoi quando questi non fossero già stati razziati dai tedeschi,

erano venuti fuori dei manifesti che dovevamo andare via. E dove si andava, cosa facevamo, per noi era l’inferno dappertutto, se andiamo via da casa dove andiamo, prima di tutto, non avevamo niente, comunque è arrivato il momento di farci sgombrare ci hanno presi tutti e marciare e via, di là dal fiume e po andè mo duv a vlì. Un chelz in..., e andare di lungo. E poi basta. Noi avevamo un pezzetto di carne, di pancetta di maiale, avevamo fatto il pane, che dovevamo fare in fretta a farlo perché se se ne accorgevano ce lo venivano a portare via, perché anche loro mangiavano come potevano, lo abbiamo messo in un sacco ancora caldo che era dvintè dal piastarlen delle crescentine, però è lo stesso, avevamo quello lì. Il pezzo di pancetta lo avevamo salvato perché mia madre lo aveva nascosto nella stufa, che non si accendeva più, in mezzo ai bacchetti. E poi andiamo via avevamo niente in dosso, niente da coprirsi.[71]

Per arrivare a Bologna si doveva passare per la via Porrettana, attraversare posti di blocco, rischiare di incontrare pattuglie tedesche così ben presenti sul territorio. Molti sono i racconti di chi visse questa esperienza[72], ad esempio Arnaldo Gandolfi e la sua famiglia, in seguito all’ordine di sfollamento obbligatorio si misero in cammino verso la città e nei pressi dei Borghetti, avendo saputo del pericolo del comando a Colle Ameno, Arnaldo e il padre cercarono una strada alternativa attraverso i campi, lungo la ferrovia, ma all’altezza della Pila furono fermati da una pattuglia tedesca e portati proprio a Colle Ameno dove Arnaldo rimase tre giorni.[73]

Ad un certo momento, i tedeschi ci fecero sfollare, mandarono via tutti e ci fecero incamminare verso Bologna. Io, assieme ad altri cominciammo ad andare, ma alla Cervetta c’era un posto di blocco, dove fermavano tutti gli uomini: i giovani, li prendevano e li portavano a Colle Ameno dove c’erano veramente delle brutte cose. Ci sono stato. Li mettevano là dentro e poi decidevano cosa fare, portarli una parte in Germania, una parte li facevano lavorare alla Todt, una parte li hanno ammazzati.[74]

Per raggiungere Bologna si doveva passare anche davanti a Colle Ameno il cui ingresso è proprio sulla via Porrettana all’altezza di Pontecchio Marconi.

Una sera del mese di novembre ci dissero che dovevamo andare via. Avevo solo 11 anni, ma ricordo benissimo. Facemmo il pane e il mattino seguente caricammo sul biroccio tutto quello che si riuscì a sistemare, mentre lo zio caricò alcune cose sulla carriola, sopra a queste mise il figlio più piccolo e a piedi partimmo. Giunti di fronte al Colle Ameno fummo fermati dai soldati tedeschi che presidiavano la strada, controllarono le cose che erano sul carro, poi un militare ordinò a mio zio Livio di seguirlo, Livio con i suoi 43 anni era l’unico del gruppo che entrava nella fascia a rischio “komm – komm” ordinò un soldato, e si avviarono verso il Colle Ameno.[75] 

Partimmo un mattino d’autunno, grigio in tutti i sensi, con un carro tirato dai buoi. Arrivati a Colle Ameno i tedeschi prelevarono gli zii Giovanni ed Edoardo, papà riuscì a cavarsela per la barba lunga e bianca che lo faceva sembrare più vecchio.[76]

Comunicazione della Polizia tedesca

Comunicazione della Polizia tedesca

Anche Nerino Zani, mentre cercava di raggiungere Bologna con la famiglia, lungo la via Porrettana, venne fermato e rinchiuso assieme ad altri uomini in una stanza dentro alla villa del Ghisiliere.[77] Gli sfollati cercavano di percorrere strade alternative per evitare il blocco o provavano di mettere in atto degli stratagemmi per non attirare l’attenzione dei militari tedeschi; alcuni si fingevano più vecchi o, altre volte, più giovani, indossando pantaloni corti o si portavano appresso un bambino.[78] 

Questa tecnica di prendere in braccio un bambino per suscitare la compassione dei tedeschi sembra essere stata molto utilizzata: infatti in molti racconti, in queste zone e in altre località italiane, compare un episodio di questo genere[79], anche se non sempre lo stratagemma aveva successo. Lo sfollamento aveva interessato anche l’acquedotto del Setta e alcuni operai furono condotti a Colle Ameno.

I tedeschi crearono la zona “militarizzata“ fino a Pontecchio di Sasso Marconi e la Centrale del Setta (collocata a Sasso Marconi nel punto di confluenza fra il Reno e il Setta), era compresa nello sfollamento dei civili. Il panico ed il quotidiano rischio fecero desistere anche molti operai. Nella Centrale eravamo ancora in otto con le nostre famiglie; queste ultime in parte furono ospitate a Bologna accanto al serbatoio di viale Aldini, mentre le restanti si sistemarono presso conoscenti. Noi otto, eravamo sprovvisti di qualsiasi documento che attestasse la necessità della nostra presenza alla Centrale e la nostra posizione era oltremodo rischiosa […]

Un giorno ci misero al muro e ci lasciarono con le braccia alzate per molte ore, e poi, dopo alcuni giorni ci rinchiusero in una stalla, ed anche qui restammo una giornata. Successivamente fummo deportati a Colle Ameno di Pontecchio e solo l'interessamento indiretto delle forze partigiane ci permise di ritornare alla nostra occupazione.[80] 

Restare sul territorio si faceva sempre più rischioso per gli uomini e non solo per quelli giovani e in forze visti i rastrellamenti e quindi molti uomini che dapprima avevano cercato di nascondersi, per evitare di essere catturati, vennero trovati e condotti nei luoghi di raccolta organizzati dai tedeschi.

Mio padre che aveva 48 anni, un vecchio allora, ed altri uomini, ragazzi, decisero di nascondersi perché i tedeschi rastrellavano e cercavano gli uomini. Fecero una sorta di capanna, un rifugio in un bosco a 500 metri dalla Porettana, li presero subito. E mio padre venne portato alle Caserme Rosse, siamo nei primi giorni di ottobre. Un giorno bombardano le Caserme Rosse e mio padre scappò, non tornò a casa perché qui c’erano i tedeschi. Allora andò alle Budrie di San Giovanni in Persiceto dove abitava mia nonna. Ma anche lì c’erano i tedeschi, la resistenza e di certo non era un luogo sicuro, quindi, sempre camminando di notte e nascondendosi di giorno mio padre cercò di tornare a casa. Una sera si trovarono in 4 o 5 nascosti in un fienile, i tedeschi arrivarono, misero sotto sopra il fienile dove loro si erano nascosti ma non li trovano. I tedeschi vennero in casa, si ubriacarono, si misero a cantare una canzone popolare: trink, trink. Poi trascinarono fuori delle ragazze, io sentivo gli urli. Possiamo immaginare cosa successe. I tedeschi ci dissero che se la sera dopo non trovavano gli uomini avrebbero fatto saltare la casa. Allora mio padre e gli altri decisero di andare verso Bologna e di rischiare di essere presi a Colle Ameno, in effetti furono presi.[81]

Sfollati

Sfollati
(Fototeca IBC Emilia-Romagna, NAW n. 205011)

Dopo la strage di Monte Sole vennero effettuati rastrellamenti e numerosi uomini furono prelevati per essere portati in Germania[82], fu poi emesso un proclama che intimava agli uomini adulti di presentarsi ai comandi tedeschi per un controllo dei documenti entro il 5 ottobre, pena la fucilazione. Tutti quelli che si presentarono vennero arrestati e in maggior parte adibiti a lavori di sistemazione del territorio nell’organizzazione Todt.

Fra questi vi erano Silvano Bonetti e suo padre Leone che furono trasferiti verso il modenese. Silvano parlava il tedesco e si adoprò anche come interprete, sempre più preoccupato che il padre non potesse sopportare la pesantezza dei lavori, convinse un ufficiale tedesco a lasciare tornare Leone a casa. In effetti l’ufficiale preparò un salvacondotto che avrebbe dovuto garantire la via libera. Sulla strada del ritorno verso casa Leone Bonetti si imbatté nel posto di blocco di Colle Ameno e nemmeno il documento della Todt gli permise di continuare il suo cammino.

Venne fermato, condotto all’interno del borgo e il 18 ottobre 1944 fu fucilato assieme ad altri 5 uomini, due di Marzabotto e tre di Lama di Reno[83]: quasi fosse l’ultima strage delle numerose che fanno parte dell’eccidio di Monte sole quando fra il 29 settembre e i primi giorni di ottobre in 115 luoghi situati nei tre comuni di Marzabotto, Monzuno e Grizzana vennero uccise 770 persone.[84] Le truppe tedesche, alla ricerca di uomini da “utilizzare” per il lavoro e con l’intento di controllare in maniera rigidissima il retro fronte, effettuavamo quindi molti controlli e rastrellamenti: la prima tappa dopo la cattura poteva essere un comando delle SS istallatosi alla “Casa Suore” di Mongardino dove portavano i prigionieri in transito.

Una sera i tedeschi cercavano gli uomini, che si erano nascosti nel fieno. Allora i tedeschi mandarono avanti mia madre con la lanterna e nel fienile con un ferro cercavano e li trovarono. Ci chiesero delle corde e noi pensammo che li avrebbero impiccati. Perché dicevano che erano partigiani, invece si erano nascosti perché si sapeva che rastrellavano. Li hanno portati alle Suore di Mongardino.[85]

Io dopo l’8 settembre scappai e tornai a casa, dove c’erano i tedeschi e quindi era troppo rischioso stare e quindi andai in un rifugio in cui c’erano già i due fratelli Dall’olio, Vasco Pasini, mio fratello, Natalino Pasini, ed un altro ragazzo che non mi ricordo. Era un rifugio ben nascosto, ma un giorno invece di arrivare le donne a portarci il cibo arrivarono i tedeschi che, probabilmente, insospettiti dal via vai delle donne le avevano seguite e ci avevano trovati.

Ci portarono alle suore di Mongardino dove c’era il primo centro di raccolta dei rastrellati, noi eravamo in sei. Non ci fecero passare la notte lì, ci portarono a Colle Ameno. Durante il tragitto la colonna si era ingrossata eravamo circa 60, 70 persone che provenivano da altre zone vicine.[86]

Alla “Casa Suore” vi era una stretta collaborazione fra SS e fascisti repubblicani del luogo, tanto che molti temevano proprio la presenza di un italiano.

Mi ricordo una cosa che mi ha fatto paura. Quando eravamo lì un giorno, ci diedero qualcosa da mangiare ecc, un giorno si aprì la porta entrò un ragazzo con l’elmetto di traverso, il tedesco che era lì disse: “Eeeh” come dire guarda, guarda chi c’è. Lui ci guardò tutti si soffermò un attimo su di me guardandomi poi guardandomi negli occhi disse: “No non c’è nessuno”, poi è andato via. Ho poi imparato dopo che era uno che era stato nei partigiani, ma che era passato dalla parte dei tedeschi, faceva la spia e andava a cercare, andava a cercare se c’era qualche partigiano in mezzo lì, in mezzo a noi. E quando si è soffermato su di me, io non sapevo […] sono rimasto così e dire che bastava che dicesse: “Lu lè”, che lì ti fucilavano. Non so chi fosse.[87]

Io ebbi fortuna, perché lì c’era un certo Paolo, un repubblichino, che aveva l’incarico di fare la prima cernita fra i prigionieri e scegliere chi eliminare. Per fortuna non venne e quindi io, anche se era in età di servizio militare e quindi considerato disertore per la repubblica di Salò, riuscii a salvarmi.[88]

Riesumazione

Riesumazione

La stessa persona ebbe, secondo il ricordo dei testimoni, un ruolo nella cattura del dottor Vittorio Patrignani, medico condotto, che il 1° novembre 1944, in seguito ad una denuncia probabilmente giunta ai nazisti da questo fascista repubblicano fatto prigioniero dopo che la sua casa era stata perquisita. Il dottor Patrignani venne fucilato nella cantina di Casa «Suore» e per lungo tempo i famigliari non furono informati della sua sorte.

Vennero i tedeschi con questo Paolo, un repubblichino. Arrestarono il babbo e lo portarono al comando delle “Suore” di Mongardino. Qualche tempo prima lo avevano già fermato i tedeschi, ma poi lo avevano liberato. Io andai una volta con la mamma lì alle “Suore”. Il babbo l’hanno tenuto lì parecchio tempo, non mi ricordo quanto tempo, la mamma gli portava la biancheria, da mangiare. Poi sparì, e non dicevano dove era. Dicevano all’ospedale di Zola, invece lo avevano già ucciso. Dopo la guerra lo ritrovammo in una fossa comune e la mamma lo riconobbe da un calzino.[89]

Vittorio Patrignani, ferito e decorato durante il primo conflitto mondiale, antifascista di area moderata durante la guerra aveva stabilito sulle colline di Sasso Marconi la sua residenza, ritenendo Bologna troppo pericolosa.

I partigiani avevano sovente chiesto aiuto al dottore e lo fecero anche per curare i feriti dello scontro di Rasiglio dove 22 combattenti erano stati feriti. Per questo, varie notti di seguito, Patrignani fu accompagnato nel rifugio dove erano i feriti e proprio per questo motivo venne arrestato e giustiziato. Pochi giorni dopo la cattura del dottore, il 10 novembre, sulla strada antistante il comando, furono uccisi con una raffica di mitra due abitanti di Sasso Marconi entrambi ciechi che, a causa della loro estrema povertà, chiedevano l’elemosina: Vincenzo e Mario Lesi, padre e figlio. Il 1° dicembre tre partigiani: Alfonso Laffi, Ubaldo Tinti ed Ernesto Bizzini vennero costretti a scavare una fossa e quindi furono fucilati.[90] Negli ultimi mesi del 1944 ci furono diverse uccisioni: non è possibile stabilire il numero esatto degli assassinati, secondo alcune fonti furono 20 i trucidati mentre altri affermano che 7 furono i cadaveri ritrovati dopo la Liberazione e di alcuni non si conoscono ancora i nomi. Le esumazioni vennero fatte il 27 aprile e il primo maggio 1946, ma anche sulla stampa locale non venne dato conto in modo esatto del numero né dei nomi delle persone uccise.[91] Chiunque passasse per la strada Porrettana rischiava di essere catturato, Renato Giorgi racconta di come anche Camilla Malvasia, sfollata a Bologna partì una mattina alla ricerca del suo pianoforte che si diceva finito a villa Mezzana e per vedere cosa accadeva al «Palazzo»

Scritte lasciate dai prigionieri sui muri

Scritte lasciate dai prigionieri sui muri

una vecchia casa contadina del XV secolo restaurata dalla sua famiglia ed adattata a sede di campagna. Uscita da villa Mezzana, e qui aveva compiuto la seconda azione avventata di quel giorno s’era lasciata sedurre dal gran sole e s’era messa per i sentieri del monte, per raggiungere il «Palazzo», una mezz’ora circa di cammino. Al Palazzo, le solite SS con le solite ragazze. Poi, - terza leggerezza della giornata - per tornare a Bologna aveva fatto una scorciatoia che dava sulla Porrettana schivando Colle Ameno ed il Ghisiliere. Alla Pila, due nazisti giovanissimi e biondi, l’avevano bloccata con i mitra spianati e l’avevano costretta a tornare al Ghisiliere, a piedi con la bicicletta spinta a mano. […] Nel semibuio della stanza, ad un tratto, facendosi largo tra i rastrellati, era emersa una faccia patibolare - giudicò un sott’ufficiale - che la investì con voce raschiante accusandola di aver portato un messaggio ai Partigiani, perché transitata una prima volta dal posto di blocco della Porrettana sulla salita di Colle Ameno all’altezza del Ghisiliere - non era ripassata di lì al ritorno. […] Una gita o spedizione avventata - a quei tempi solo la necessità doveva indurre a lasciare i luoghi sicuri - lo capiva adesso, e che l’aveva condotta pari pari davanti a quell’odioso ufficiale nazista che la fissava facendola sentire a disagio, come avesse da farle proposte male accette e schifose: senza poi contare la grande paura passata. Era stata lei a domandare che la portassero dal capitano, dopo che con modi bruschi l’avevano spinta in uno stanzone del pianterreno, in mezzo ad una trentina e più di rastrellati che si lamentavano e parlottavano con fosche previsioni sul loro futuro.[92]

Scritte lasciate dai prigionieri sui muri

Scritte lasciate dai prigionieri sui muri

Quindi anche chi, da Bologna, per vari motivi cercava di tornare verso Sasso Marconi, rischiava di essere fermato, come capitò a Giorgio Mignani che ai primi di dicembre del 1944 voleva raggiungere i Borghetti, in compagnia di due ragazze, per recuperare il grano nascosto. Al posto di blocco di Colle Ameno le due ragazze furono rimandate indietro e lui fu catturato[93], o come il padre di Vasco Pasini, anche lui rastrellato e condotto a Colle Ameno dopo che da Bologna aveva cercato di fare qualche piccolo lavoro di facchinaggio da e verso Sasso Marconi.[94] Solitamente la permanenza nelle stanze situate a pianterreno della parte centrale della Villa Davia adibite a dormitorio per i rastrellati era piuttosto breve, due o tre giorni, ma questo non metteva i prigionieri al riparo dai pericoli, dagli estremi disagi causati dal sovraffollamento, dalla violenza. Nerino Zani ricorda che le persone erano talmente ammassate che diventava faticoso riuscire a respirare, altri raccontano di come negli stanzoni non vi fosse nemmeno la possibilità di stendersi per riposare e lo si poteva fare solo appoggiandosi schiena contro schiena[95], oppure seduti.[96] 

Ci misero in queste due piccole stanze e quando furono circa le 8, all’imbrunire, eravamo al massimo della pienezza: difficilmente ci potevamo muovere. Ogni tanto arrivava un tedesco e prendeva qualcuno, che non so se tornava perché non riuscivo a vedere l’entrata. Non ci diedero da mangiare né da bere.[97]

Scritte lasciate dai prigionieri sui muri

Scritte lasciate dai prigionieri sui muri

In una delle scritte lasciate dai prigionieri sui muri si può leggere come il 18 dicembre 1944, quindi quattro giorni prima del definitivo abbandono di Colle Ameno, fossero presenti in quella stanza 234 uomini.

Vi fu un momento che dentro gli scantinati ce n’erano ammassate più di quattrocento. Lo si vede dalle iscrizioni sui muri. Ve ne sono una quantità. Sono a gruppi.

Ogni gruppo raccoglie le firme di gente dello stesso paese, o frazione o case. C’è la data d’arrivo, in alcune anche quella della partenza. Ma in molte la data di partenza non c’è. Forse non ebbero tempo di scriverla. C’è una di quelle iscrizioni che mi ha fatto proprio commuovere. È isolata dalle altre, non c’è data, né firma, solo una frase: «Con sommo rammarico».[98]

Scritte lasciate dai prigionieri sui muri

Scritte lasciate dai prigionieri sui muri

Numerosissimi furono gli episodi di violenza efferata che vengono ricordati e tutti hanno come protagonista Fritz, il comandante del campo. Sovente si ricorda come i tedeschi prelevavano casualmente alcune persone dallo stanzone in cui i prigionieri erano ammucchiati e di come questi non facessero più ritorno. Spesso le persone venivano malmenate, senza un motivo. Si racconta di come «Fritz [avesse] un bastone nodoso e picchiava la gente, sulla testa, tramortendola, senza un perchè, all’improvviso».[99]

Il sergente Fritz che controllava i documenti, essendo claudicante, si sorreggeva con un bastone nodoso e lo usava spesso però per sfogare il suoi istinto bestiale sui poveri malcapitati. Ricordo che infierì su Guglielmo, operaio della cartiera del maglio riducendolo piuttosto male. Un giorno un ragazzo di San Lorenzo chiese di andare al gabinetto, quando ritornò era malconcio, sanguinava da diverse parti del corpo perché era stato picchiato a sangue[100]

Oppure il motivo risiedeva nell’appartenere all’esercito italiano, giudicato traditore

Con noi c’era un giovane ufficiale dell’esercito italiano, si chiamava Rossi ed era del Meridione, era rimasto al nord dopo l’armistizio. Purtroppo aveva l’abitudine di mostrare una foto che lo ritraeva in divisa da ufficiale, io gli consigliavo di essere più prudente, visto l’odio che i tedeschi nutrivano per i “badogliani”. Un giorno venne un maresciallo tedesco, gli impose di mostrare una foto (forse una spiata), vista la foto gli disse: «tu essere ufficiale Badoglio» e giù botte e calci che ridusse il povero Rossi veramente male.[101]

Taglia posta dal Comando tedesco

Taglia posta dal Comando tedesco

L’armistizio era stato vissuto dai tedeschi come un tradimento[102] e aveva contribuito ad aumentare la sfiducia nei confronti degli italiani e a dare sempre più importanza alle tesi di chi vedeva nell’alleato esseri inferiori alla “razza ariana tedesca”. Lo stesso Goebbels nei suoi diari aveva scritto numerosissime annotazioni sulla “natura italiana”, sul tradimento e sulla vendetta che si sarebbe dovuta compiere contro gli italiani stessi. Solo in parte queste considerazioni vennero rese pubbliche, ma la propaganda fu più che sufficiente perché i soldati tedeschi si formassero una opinione dei soldati e della popolazione italiana. Persone che nel complesso meritavano un trattamento di poco riguardo, vista la loro indole “meridionale”, con qualità umane negative quali la viltà, l’ignavia, la pigrizia[103]. Un inaffidabile popolo di zingari, secondo la definizione dello stesso Goebbels[104]. Una volta internati nel campo, i rastrellati dovevano subire una prima selezione, non vi era però nessun medico, ma era lo stesso comandante a decidere la sorte dei prigionieri

Quando arrivava un plotone di rastrellati Fritz chiedeva chi era ammalato e li metteva da un parte. Chi aveva davvero delle ferite, anche per operazioni, diceva: a questi date da mangiare bene, perché domani li portiamo al Lazzaretto[105]. Se non trovava ferite li prendeva a bastonate con il bastone che aveva sempre con lui. Le persone che avevano delle ferite, diceva che dovevano mangiare bene perché diceva che poi li avrebbero portati al Lazzaretto Il giorno dopo diceva: li abbiamo già portati all’ospedale, al Lazzaretto. E poi faceva il segno della croce, invece un bel momento ci siamo accorti che li fucilava. Fritz li uccideva con la pistola e poi li buttava nelle buche. Mio fratello ha visto che li fucilavano io invece ho sentito le urla, perché se non morivano subito urlavano.[106] 

Nerino Zani ricorda che quando venne chiesto se c’era qualcuno in cattiva salute, si fece avanti un soldato italiano fatto prigioniero che fu schiaffeggiato da Fritz. Nella stessa occasione era presente un uomo invalido, conosciuto con il nome o il sopranome di zoppo di Calari, un contadino che abitava vicino a Colle Ameno. A lui si rivolse Fritz dicendo «Tu stare li che fra dieci minuti io guarire te». Zani ci racconta di avere poi saputo che dopo la loro partenza Fritz lo fucilò.[107] Stessa sorte capitò ad un ragazzo che faceva il commesso in uno spaccio

C’era lì dove adesso c’è la bottega un ragazzo c’era un ragazzo losc (strabico), che vendeva la corda, le casse ed è finito là dentro, mi diceva mio marito: l’hanno torturato, gliene hanno fatte di tutti i colori e poi, in ultimo, l’hanno messo nella buca[108]

Alla fine della guerra furono ritrovati 21 cadaveri sepolti nel terreno circostante la villa, fra questi le sei persone uccise il 18 ottobre, altri uccisi in esecuzioni sommarie fra il novembre e il dicembre 1944.

Nel mese di Novembre, non ricordo il giorno, ero in camera mia al secondo piano, faceva già freddo e le finestre erano chiuse, guardai fuori e vidi tre persone, che in fila indiana percorrevano il ciglio del camminamento delle postazioni antiaeree che poco più distante da casa nostra arrivavano vicino alla casa dell’Oca di via del Chiù. Due prigionieri davanti Fritz dietro. Avevano percorso poco più della metà del camminamento, quando Fritz sparò un colpo di pistola alla nuca del prigioniero che gli stava davanti, poi uccise l’altro. Fritz rovistò nelle tasche dei due morti prima di farli rotolare dentro alla trincea, sopra ai cadaveri mise alcune assi di legno, poi col piede sano fece cadere della terra dal ciglio della trincea che coprì appena i cadaveri e ritornò alla villa.[109]

Difficile comprendere il perché delle fucilazioni, a volte venivano uccise persone inabili al lavoro, o ritenute tali, mentre in altri casi non è stato possibile ricostruire con esattezza né motivazioni né modalità degli omicidi.

Ha visto delle cose, una volta un ragazzo di 32 anni, lo conosceva, era un suo cliente, mentre bombardavano, ‘sto ragazzo scappava dalle bombe e due tedeschi lo hanno visto, l’hanno preso, lo hanno portato a Colle Ameno, il giorno stesso gli hanno fatto fare la buca, lo misero in una poltrona, gli legarono le gambe e le mani e poi lo seppellirono vivo.... lì non si sapeva quanti ne hanno ammazzati, gente che conoscevamo.

Molto probabilmente Filomena, la moglie di Artemio, il barbiere, si riferisce a Ilario Favallini, di 39 anni che venne sepolto legato ad una sedia. Non furono trovati segni di proiettili nel suo cadavere e quindi si suppone sia stato sepolto vivo. I testimoni forniscono sui motivi di questo atroce delitto due ipotesi differenti. Remo Neri e Bruno Marchesi raccontano che Ilario Favallini fu portato a Colle Ameno dopo un mitragliamento effettuato da un caccia alleato che, alla fine di ottobre, aveva colpito una colonna di soldati tedeschi vicino al cimitero di Pontecchio ferendone molti. L’accusa mossa a Favallini fu quella di non avere prestato soccorso ai militari. Secondo Marchesi, presente a colle Ameno all’arrivo del prigioniero, Ilario era un uomo robusto alto più di un metro e ottanta, e giunto al Colle Ameno fu preso in consegna da un sergente piccolo, molto piccolo di statura, poco più di un metro e cinquanta. Il sergente che lo interrogava cercò di dargli uno schiaffo che, vista la prestanza fisica, scansò facilmente, nell’indietreggiare Ilario inciampò cadde a terra all’indietro e il Sergente gli diede una violenta pedata sul viso con gli scarponi chiodati, che si stamparono sul volto che prese subito a sanguinare.[110] 

Ma perché ha fatto così? Eravamo cinni (ragazzini), eravamo curiosi. Allora ci dissero che, durante il cannoneggiamento, questa persona aveva soccorso i civili, mentre non aveva aiutato un tedesco ferito.[111] Fu quindi rinchiuso e successivamente sepolto come si è detto.

Riesumazione

Riesumazione

Secondo Remo Neri, invece, Ilario Favallini reagì alla vista dei numerosissimi feriti con una sorta di crisi isterica che si manifestò con ripetute risate incontrollabili e nel pomeriggio dello stesso giorno, una pattuglia tedesca preleva Ilario dalla sua abitazione per condurlo al Colle Ameno dove, dopo un breve interrogatorio, fu rinchiuso in cella di isolamento.

Il giorno dopo venne legato braccia e gambe ad una sedia e sepolto vivo.«Fritz assiste personalmente all’esecuzione. Il corpo di Ilario è quasi sepolto, quando Fritz ordina ai soldati di interrompere il lavoro, si avvicina al bordo della buca e dice: - Noi mettere ancora terra su tua testa, così se tu avere ancora voglia di ridere, nessuno potrà sentire tua lurida voce».[112] Un altro episodio non chiaro è quello che riguarda l’uccisione di un uomo che, a cavallo, passava nei pressi di Colle Ameno. Identificato in alcuni casi con un gerarca fascista repubblicano a cui Fritz voleva prendere il cavallo bianco [113], in altri racconti viene individuato con il baritono Loiacono[114], che aveva un cavallo nero

Un giorno ch’era di guardia sulla Porrettana, d’in cima la salita veniva avanti uno, sopra un cavallo di manto nero lucido, la testa alta e superba, scalpitava e scartava di continuo, il cavaliere lo reggeva a fatica, tanto bello da sembrare irreale e fuori del tempo, in quel momento ed in quella parte del mondo. Quale colloquio si sia svolto quel giorno tra il sergente maggiore Fritz ed il cavaliere sulla salita di Colle Ameno, nessuno mai saprà, si sa solamente che ad un tratto Fritz, con una raffica di mitra disarcionato il cavaliere in mezzo alla strada, s’era preso il cavallo. Era un fascista, si disse. […]

In seguito poi si seppe ch’era un non meglio conosciuto Loiacono, pare di professione baritono, unito con una donna che abitava in Campescolo, presso Sasso Marconi e che con i fascisti non aveva nulla a che fare.[115]

Infine Bruno Marchesi ricorda come «Un giorno nella strada passa uno con cavallo. Fritz dice a mio padre: trovato partigiano, fare kaput. Non si sapeva se era un partigiano, ma lui lo ha fatto fuori. Dice che aveva una pistola».[116] Non stupisca la già sottolineata difficoltà, in questo e in altri casi, di avere racconti precisi di un avvenimento, non bisogna scordare anche il contesto in cui gli eventi avvenivano, in una situazione di guerra totale in cui le notizie circolavano molto poco, solo di bocca in bocca, con tutte le imprecisioni che questo causava, lo sfollamento che aveva spopolato quelle zone, la pericolosità di raccontare, ascoltare e spostarsi. Con la guerra il mondo aveva assunto dimensioni diverse, aveva mutato i suoi confini. Il problema della mobilità e dei collegamenti aveva fatto sì che gli spazi si riducessero; il territorio, sempre più frantumato, divenne un mosaico di piccoli mondi[117] sia in senso fisico che psicologico; paradossalmente la guerra, mondiale, poteva così divenire un fatto individuale, da viversi nell’ambito della propria cerchia ristretta di interessi e d’affetti.[118]

Riesumazione

Riesumazione

Non esistono altre fonti con le quali integrare e intrecciare il racconto dei testimoni, visto che non vi sono registri in cui siano state annotate le azioni dei militari nazisti, né nessuno dei soldati ha mai raccontato attività o motivazioni delle loro azioni. Non vi è mai stato un processo contro Fredierich Brotschy e nessuno gli ha chiesto conto dei 75 giorni di Colle [119], quando oltre a fare funzionare il campo di raccolta per i rastrellati, come stabilito dalla strategia della guerra nazista, comminò almeno 21 sentenze di morte, questo nonostante che nei mesi successivi la liberazione, Silvano Bonetti avesse raccolto testimonianze su Colle Ameno e avesse fatto una denuncia agli alleati ottenendo la risposta che Friedrich Brotschy era morto sul fronte orientale nel marzo 1945. In realtà dopo altre ricerche nel 2004 fu reso noto che Fritz era morto nel suo paese natale nel 1978. Il 14 novembre venne rastrellalo Ferruccio Caselli, un ragazzo di 17 anni invalido che, a causa della poliomielite contratta da bambino, doveva camminare utilizzando le stampelle. Il 17 novembre Caselli non era più all’interno del campo e i soldati tedeschi giustificarono questa assenza dicendo che lo avevano trasportato in ospedale, in Germana. In realtà nel dopoguerra fu ritrovata la sua stampella su un terrapieno.

In questo caso a nulla erano valsi i tentativi di mediazione portati avanti dagli uomini che erano stati costretti dai soldati a rimanere all’interno di Colle Ameno e a lavorare per la sussistenza dei soldati e dei militari e rastrellati. Nella maggior parte dei casi con il comandante «non si poteva fare dei ragionamenti. Il suo passatempo era quello di tormentarli e di farli fuori».[120] In altre occasioni invece l’intervento di Giovanni Marchesi, il custode della villa e ora cuoco, di Artemio Pellegrini, barbiere e di altri presenti aveva sortito un qualche effetto. In due episodi distinti viene ricordato l’intervento in questo senso di Ernesto, di mestiere partidour, ovvero sensale.

Davanti al portone di legno c’erano un caporale ed il signor Ernesto, Ernesto al partidour, che faceva parte di quel gruppo di civili che venivano impiegati in varie mansioni al servizio della gendarmeria si rivolse al tedesco graduato, gli disse che Livio era un suo amico, lo supplicò più volte di lasciarlo andare –“ha figli e nipoti piccoli da sfamare, anche tu in Germania hai bimbi piccoli”- e forse fu questa ultima frase che lo convinse a lasciarlo andare. Il tedesco, forse per nascondere la sua momentanea debolezza, gli diede un poderoso calcio nel sedere gridando ripetutamente –“Rauss – Rauss”. Lo zio disse che l’aveva preso molto volentieri quel calcio nel sedere.[121]

I tedeschi ci dissero che ce ne dovevamo andare e andammo verso Bologna, partimmo con due birocci e le mucche e a Colle Ameno presero mio fratello che era un uomo. Il comandante tedesco che era stato tanto tempo a casa nostra aveva fatto un biglietto, ma chissà cosa ci aveva scritto perché cominciarono a prendere a calci mio fratello e a bastonate con il calcio del fucile poi lo misero contro il muro per fucilarlo e mentre che stavano per fucilarlo arriva uno di San Lorenzo, che faceva il “partitore” che era dentro al comando e disse: non ucciderlo, lo conosco, non ha mai fatto del male a nessuno. Allora lo hanno tenuto lì dentro due o tre giorni.[122]

Artemio cercò di avvisare i nuovi arrivati di non dire mai di essere malati, perché contrariamente a quello che si poteva pensare questo non dava nessun vantaggio, anzi poteva portare a dover subire violenze o alla fucilazione 

Ha rischiato la vita mio marito, lui sentiva quello che dicevano. Un giorno ha sentito: tutti quelli che sono malati, metteteli da una parte. Allora Artemio aveva paura, allora c’era uno che abitava lì alle scuole di Tripoli e gli ha detto: dà la vous, stè atenti che vi ammazzano tutti.

Dopo tre giorni che andavano a fare la revisione, non c’era più neanche uno degli ammalati....

Se l’è vista brutta, volevano fargli del male, perché pensavano che avesse fatto la spia, ma per fortuna alla fine è andata bene.[123]

Le uccisioni, le violenza, il futuro ignoto spingevano le persone a tentare di fuggire sia durante il cammino verso Colle Ameno che una volta rinchiusi dentro al campo. Verso la fine di Ottobre o i primi di Novembre del 44, ricorda Bruno Marchesi, i soldati si accorsero che due prigionieri erano scappati durante il tragitto e quindi cercarono di scoprire l’identità dei fuggitivi. Non ottenendo risposta, anche perché non sempre le persone rastrellate si conoscevano fra di loro, vennero indicati due prigionieri a caso e 

Famiglia Pazzaglia a Fornetola prima dello sfollamento.

Famiglia Pazzaglia a Fornetola prima dello sfollamento.
(Foto di Anna Pazzaglia).

un tedesco ordinò, dopo aver consegnato loro una vanga, di seguirlo, e li portò nel campo nei pressi dove è stato recentemente costruito il nuovo parcheggio e ordinò loro di scavare una buca. Ogni tanto il tedesco fermava il lavoro e chiedeva:- Chi essere i due prigionieri fuggiti? - Non lo sappiamo, non li conosciamo. – Allora scavare! – Questo si ripetete diverse volte. Le due buche erano quasi ultimate quando uno dei due malcapitati, ebbe un’idea geniale, e alla solita domanda gli rispose che non lo sapeva, però se ci date la possibilità di controllare, tutti i prigionieri che farete nei prossimi giorni, noi li riconosciamo. Si convinse e li riportò alla prigione.

Dopo alcuni giorni, poiché c’era una notevole richiesta di personale anche i due “graziati” uscirono dal Colle Ameno. A guerra finita tornarono tutti e due a vedere le buche, che solo per puro caso non erano diventate le loro tombe. Uno era il farmacista di Vergato, l’altro un commesso del negozio di stoffe “Melloni” di [124],

Scegliere di tentare di fuggire o di rimanere non era facile perché costantemente vi era la minaccia che, in caso di fuga, dieci prigionieri sarebbero stati fucilati. Quindi le persone dovevano scegliere fra la possibilità di salvarsi la vita, mettendo a repentaglio quella di altri compagni, o rimanere nella propria pericolosissima condizione di reclusione. Comunque qualcuno tentò la fuga, e per fortuna questo non provocò nessuna ritorsione, ma solo minacce di fucilazione «però dice che li mettevano contro il muro e poi li tenevano lì»[125] 

Qualcuno ebbe la pensata di fuggire, fra questi anche mio fratello che era scappato altre volte dalle mani dei tedeschi. Io no, ero fatalista e pensavo che il mio destino era segnato.

Allargarono le sbarre e qualcuno, anche mio fratello, passando per le finestre. Io rimasi, anche perché non ci sarei mai passato.[126]

A Colle Ameno io ci sono stato pochissimo un giorno o due, penso che sia stato proprio quella notte stessa se non altro, non ho un ricordo di un po’ di tempo passato, niente mi ricordo solo che mi sono messo a dormire e che non sono scappato, però ho sentito che facevano, mi hanno detto che tiravano 3 o 4 da una parte 3 e poi stavano attenti perché c’era una sentinella, quando sono scappati fuori.[127]

Il servizio di guardia notturna - escogitato dal sergente Fritz - veniva fatto dai rastrellati stessi, in turni di due ore per due ore, con responsabilità diretta per loro, se qualcuno scappava. Dopo qualche giorno Giorgio Mignani e Rossi, di guardia assieme, avevano deciso di evadere, considerato anche che cadendo su loro stessi la responsabilità dell’evasione, nessuno avrebbe subito rappresaglie. Non ce l’avevano fatta, e così la seconda volta. Al terzo tentativo, messo a lavorare da vetraio, di giorno, gli era stato possibile fare quanto di notte non aveva avuto buon esito: allontanatosi in un momento di distrazione della sentinella nazista, s’era fermato solamente a Bologna, a casa.[128] 

A Colle Ameno passarono uomini di diverse età e professioni, rastrellati nelle zone circostanti, furono imprigionati ragazzi che si erano nascosti per non presentarsi alle chiamate per la leva dell’esercito della Repubblica di Salò, ma anche partigiani e fascisti repubblicani. I partigiani che passarono per questo campo lo fecero assieme ai rastrellati, non perché catturati in scontri o per delazioni, come invece succedeva presso le “Suore” di Mongardino, anche se durante gli interrogatori le domande più insistenti erano proprio rivolte a capire dove si trovassero i partigiani. Giovanni Pellicciari, fra i fondatori del movimento democratico giovanile di Bologna[129], fu rastrellato assieme a Roberto Roveda mentre si trovavano a Monte Capra presso l’Osservatorio dell’Eremo per recuperare un aviolancio su incarico del Cumer e venne condotto da Colle Ameno a Bologna e quindi a Fossoli. Alcuni partigiani appartenenti a due delle brigate che operavano in questa zona, la santa Justa[130] e la Stella rossa[131], transitarono per Colle Ameno.

Verso novembre, nei primi giorni di novembre mio padre fu ripreso e fu riportato a Colle Ameno, quando fu li mio padre e Seleni[132] li misero in una stanza appartata. Pedrini si accorse che avevano messo nella stanza di mio padre una persona che aveva visto vestita da tedesco, forse per fare la spia perché i tedeschi volevano sapere dove erano i partigiani. Mio padre non era partigiano ma Seleni sì, quindi stettero attenti. Mio padre ci raccontò che a Colle Ameno lo avevano interrogato parecchie volte, e tutti battevano sui partigiani, dove erano e chi erano. Chi lo interrogava conosceva molto bene l’italiano, comunque era vestito da tedesco[133]

I tedeschi non sempre avevano un occhio di riguardo per gli italiani che erano ancora loro alleati: un giorno fermarono un “repubblichino” di Tripoli, detto Pessinsèla, e gli requisirono il moschetto e la bicicletta.[134] In un’altra occasione vennero fermati quattro gerarchi fascisti che, nonostante le loro proteste, furono disarmati, portati all’interno del campo e liberati solo il giorno seguente con l’intervento di gerarchi di Bologna.[135] Gli uomini rimanevano pochissimo tempo a Colle Ameno e poi venivano condotti chi a Bologna, e chi, la maggior parte delle persone di cui sono state raccolte le testimonianze, a lavorare sul territorio. 

Non sapevamo cosa sarebbe successo, qualcuno diceva che ci avrebbero portato alle Caserme Rosse. Verso mezzogiorno molti di noi, un centinaio, furono rimessi sulla Porrettana e andammo verso Bologna. Io alle caserme rosse non sono mai arrivato perché lungo la strada ci fermarono, scelsero una trentina di persone che fecero tornare indietro, verso il fronte.[136]

Anche se nel ricordo di alcuni la destinazione prospettata era le caserme rosse, di cui probabilmente si era avuta notizia visto che era attivo come campo di raccolta fin dal giugno 1944, difficilmente questo avrebbe potuto avvenire visto che il bombardamento del 12 ottobre rese inservibile questo campo e, come detto, il campo di Colle AmenoÊaveva iniziatoÊla sua attività il 6 ottobre. Nonostante questo vi fu chi dal Ghisiliere venne trasferito a Caserme Rosse e quindi in Germania.

Mio padre fu rastrellato ai primi di ottobre e fuÊrinchiuso a Colle Ameno, di qui venne portato a Bologna, alle Caserme Rosse e poi, per sua sfortuna, in un campo in Germania da dove fu liberato dai soldati sovietici. Era un uomo forte, ma quando fu liberato pesava solo 36 chili.

Mi ricordo che rimase per molto tempo in ospedale e riuscì a tornare a casa solo nel novembre del 1945.[137]

Dopo il bombardamento delle Caserme Rosse, il nuovo luogo di destinazione poteva essere una caserma di Bologna, il terzo artiglieria a Porta S. Mamolo. «Giunti a Bologna i tedeschi portarono i prigionieri alla caserma dell’artiglieria sita nei pressi di porta d’Azeglio».[138] Ed in questo caso il rischio che si poteva correre era, evidentemente, la deportazione in Germania. A volte il caso, il destino, l’intervento di eventi o di mediazioni inaspettate nei confronti dei graduati tedeschi potevano mutare la situazione dei prigionieri, così come si ascolta in moltissimi racconti di guerra

Rimasero in quella stanza a Colle Ameno 3, 4 giorni senza niente, poi una mattina portarono mio padre a Bologna, nella caserma del 3° artiglieria dove c’era lo smistamento. La croce rossa ci avvertì perché mio padre disse che aveva la famiglia a Bologna, in via Indipendenza. Così lo andammo a trovare, perché lui avrebbe dovuto partire, andammo con mia madre, mia sorella e una parente. Mia sorella aveva circa nove anni. Quando arrivammo là, saltò fuori un graduato tedesco e ci chiese cosa facevamo, e allora mia madre spiegò e intanto mia sorella era in braccio a mio padre. Allora il graduato ci disse di andare in via s. Chiara[139] dove ci fecero le carte perché mio padre fosse liberato. Tornammo nella caserma dove era mio padre e lo stesso graduato, attraverso l’interprete, ci disse che anche lui aveva a casa una bambina come mia sorella, la prese in braccio e disse a mia sorella: «adesso tu vai a casa con tuo padre». E a noi disse «Rauss». E così ce ne andammo.[140]

La chiesa di Colle Ameno

La chiesa di Colle Ameno

Solitamente gli uomini venivano utilizzati per lavori nei pressi del fronte, anche perché il 12 novembre con gli accordi di Bellagio si pose fine ai reclutamenti e agli espatri forzati mentre proprio alla fine del 1944 l’organizzazione per l’impiego della manodopera in Italia assorbì il maggior numero degli uomini evacuati impiegandoli per i lavori di fortificazione.[141] 

In questo caso destinazioni e destini diventano diversi e le esperienze possono essere simili fra loro, ma anche estremamente particolari, visto che i gruppi che si costituiscono sono formati da poche persone.

Si poteva essere portati anche piuttosto lontano

una grande, una grande compagnia, mi ricordo, una grande fila di gente che poi siamo partiti da Colle Ameno e siamo andati verso Vignola ecco, quella strada lì tutta a piedi, nei pressi di Vignola ancora le zone lì ci fermarono lì in un grande… in una grande tenuta, e poi rimanemmo lì un pezzo,[142]

Oppure sulla Linea gotica, quindi relativamente vicino

E poi una mattina ci hanno preso e portati su al Fosso della Carbonaia, che è prima di Vado dove c’era un comando e da lì ci mandavano a portare di notte il rancio a Monterumici. Mi ricordo che una notte siamo stati lì 4 ore per evitare gli americani che erano in giro.[143]

Lungo la strada ci fermarono, scelsero una trentina di persone, io temevo una decimazione, ma non sceglievano a caso prendevano quelli messi meglio, ci fecero tornare indietro, verso il fronte. Io pensavo: se volevano fucilarci lo avrebbero già fatto.

Ci portarono verso il Reno e durante il tragitto qualcuno cercò di scappare, i tedeschi urlavano, sparavano, ma non erano molto preoccupati perché facilmente li avrebbero sostituiti con altri rastrellati. Arrivammo nella località detta i piani e ci fecero scendere in una cantina di una casa dove almeno avevamo un posto in cui sedere.

Di mangiare e di bere nessuno ne aveva ancora parlato, per fortuna avevamo qualcosa con noi che le nostre donne erano riuscite a darci prima della cattura. Si presentarono i tedeschi, erano della Wermacht, io avevo studiato il tedesco al liceo e quindi facevo un po’ da interprete. Ci misero a portare le munizioni di notte verso il fronte, la prima sera camminammo due ore nel fango e lasciammo lì il nostro carico.

Tornammo indietro. La mattina dopo arrivarono nella cantina due tedeschi, questo erano SS, con una faccia… Ci spaventammo. Ci dissero che la sera dovevamo portare i viveri al fronte. E così fu. La terza sera venne un tedesco e mi disse che bisognava andare a fare i porta feriti in una sorta di ospedale da campo.[144]

Quando fummo a Colle Ameno, lì ad un certo momento, venne dentro un caporione tedesco e disse che avevano bisogno di uomini per fare delle costruzioni e allora, pur di venire fuori da lì, in 7, 8 o 10 ci dichiarammo d’accordo e seguimmo loro ed andammo appunto a lavorare.

Eravamo accampati all’Orto, che è una casa da contadini che è lì, in quel di Pontecchio e poi da lì ci spostavano tutti i giorni che ci mandavano su, sopra una piana dove ci facevano fare queste costruzioni dove poi mettevano i cannoni per sparare, la contraerea.[145]

Fino all’ultimo giorno del suo funzionamento erano presenti nel campo del Ghisiliere rastrellati che venivano avviati al lavoro.

In data 8 novembre 1944 A. S. venne rastrellato da reparti militari germanici e portato in località Ca’ Lipaprini in frazione Lagune di Sasso Marconi ove rimase fino al 15 dicembre 1944, il giorno successivo venne trasferito alla sede del Comando delle SS tedesche in frazione Colle Ameno di Pontecchio e da qui trasferito il 22 dicembre 1944 sulle linee del fronte in località San Silvestro di Marzabotto ove venne adibito a gravosi lavori di trasporto di viveri e munizioni ai militari combattenti in linea.[146]

Colle Ameno pare essere stato anche un punto di raccolta di rastrellati che, condotti dapprima a Bologna, per esigenze belliche venivano portati qui e lasciati pochi giorni prima di essere condotti nei luoghi di lavoro

Ricordo che la mattina del 30 ottobre 1944 i tedeschi entrarono in casa mia a Ceretolo e con la forza mi trascinarono fuori mettendomi con una ventina di altri rastrellati. Mia sorella che cercava di trattenermi fu picchiata. Assieme agli altri, fui condotto prima a Casteldebole e poi a Bologna alla Caserma d’artiglieria di Porta San Mamolo. Una notte i tedeschi vennero a prendere me ed altri giovani ed in camion ci portarono nel lager di Colle Ameno a Pontecchio. Due giorni dopo fummo trasferiti a Fontana di Sasso Marconi e venimmo impiegati nei servizi di rifornimento di munizioni e viveri alle truppe dislocate sulla linea del fronte che si trovava allora nella zona di Monte Sole sopra Marzabotto.[147]

Quando i destini dei rastrellati si differenziavano costringendoli a spargersi sul fronte, a lavorare per costruire fortificazioni, per portare munizioni, rancio o feriti, a volte cercando salvezza scappando, la vita dentro al Colle continuava per i civili che erano obbligati a lavorare per il Reich, a lucidare con «con panno crema nera e olio di gomito» decine di stivali come successe a Giorgio Mignani che rimase una ventina di giorni al Ghisiliere[148], oppure facendo il proprio mestiere, come Artemio Pellegrini il barbiere che rimase fino al 23 dicembre, quando anche i tedeschi se ne andarono. Artemio svolgeva un’altra attività per la SS- Feldgendarmerie

allora l’hanno poi messo a fare il barbiere lì dentro, gli davano anche da mangiare un po’ di più ma gli facevano fare dei brutti lavori, lo mandavano a Bologna a tour so’ cal dunaz lè, stavano lì tutta la notte e poi la mattina le riportavano giù.[149]

Essendo Bologna Sperrzone, le truppe difficilmente riuscivano a girare liberamente per la città e quindi era il barbiere che si recava nelle case di tolleranza per prendere le prostitute che poi venivano accompagnate a Colle Ameno dove, di notte, si svolgevano festini accompagnati con musica, vino e dolci, mentre non venivano rastrellate donne né le si arruolavano per i lavori di cucina come invece avveniva in altri comandi.

Quando arrivammo a Colle Ameno ci fermarono e mia madre disse: qui dovrebbe esserci mio marito. Allora ci fecero entrare nella casa del custode, dove loro si erano istallati. Sulla tavola c’erano ancora i resti della festa che avevano fatto la sera prima: ciambella, vino, liquori e poi c’erano due persone di Moglio di Pontecchio, due prigionieri uno di questi suonava il clarino e l’altro la fisarmonica che ancora suonavano e mi ricordo ancora la canzone, era Tornerai. Ci diedero del caffè, del latte e della ciambella e prima di partire il comandante mi mise in mano una banconota, una specie di lenzuolo.[150]

Fra gli interrogatori, le uccisioni e i festini nel campo di colle Ameno si misero in scena fucilazioni e impiccagioni di statue, come ricorda Giovanni Marchesi, il custode che con i figli si occupava della mensa.

Qui a Villa Colle Ameno c’è una piccola cappella di stile barocco. Chi se ne intende, dice che è un’opera d’arte. Tra le belle cose da vedere, ci sono delle statue di santi, in legno, fatte dal Piò, uno scultore di Bologna. Le ho sentite lodare molto dai visitatori, per come sono fatte e per i magnifici colori. Un giorno il sergente ed i suoi camerati nazisti, portarono fuori le statue, le allinearono contro il muro e le «fucilarono». Tutto in piena regola, col plotone d’esecuzione schierato ed il sergente che dava i comandi. Poi presero le due grandi statue di cera, che rappresentavano, in grandezza naturale, il «fattore» e la «zdaura» e che erano poste in due nicchie situate l’una dirimpetto all’altra, nel salone della villa, e le impiccarono.[151]

La statua della «zdaura» l’appesero poi al voltone dell’entrata e da lontano sembrava una persona vera. Ricordo che alcuni soldati tedeschi si erano vestiti con paramenti sacri trovati nella cappella e facevano i buffoni.[152]

Interno della chiesa, particolari

Interno della chiesa, particolari, foto di Carlo Vecchio Nepita

I tedeschi, evidentemente, non ricevevano sufficienti rifornimenti dalla Germania e gli ordini, emanati immediatamente dopo l’armistizio,[153] erano quelli di usufruire delle derrate alimentari e di qualsiasi oggetto che si trovasse sul territorio e che si ritenesse utile. Numerosi i casi di furto di radio, denaro, gioielli, vestiario e di altri oggetti che vengono segnalati nelle relazioni del comando tedesco.[154] Secondo Giovanni Marchesi anche a colle Ameno rubarono «tutto ciò che poterono e rovistarono persino dentro alla tomba della famiglia Rizzi».[155]

Mio marito mi ha raccontato che a Colle Ameno, non si sa quanti armadi hanno rotto, fatto delle cassette e spedito in Germania con tanta di quell’altra roba, lenzuoli, panni, cuscini, roba bellissima, ne spedivano 20 o 50 casse tutte le settimane. Biancheria.[156]

Il campo di Colle Ameno terminò la sua attività il 23 dicembre 1944 e i militari tedeschi si trasferirono al nord oltre il fiume Po. Durante la ritirata i soldati passarono per Bologna e Fritz andò a salutare Artemio che se lo vide parare davanti nei locali del seminario dove aveva raggiunto la famiglia sfollata, senza capire completamente per quale motivo Friedrich Brotschy avesse sentito la necessità di fare quel gesto che concludeva con una nota di umanità una storia di violenza, soprusi, vessazioni.[157]Le tracce di Colle Ameno si ritrovano anche in archivio, infatti nel 1945 ritroviamo una testimonianza in cui, probabilmente per avere un risarcimento, si attesta che un’intera famiglia fu fatta uscire dalla propria abitazione e portati alla Feldgendarmeria a Colle Ameno, fortunatamente i tre figli maschi riuscirono a fuggire lungo la strada ed il resto della famiglia fu lasciato libero con l’ordine di andare a Bologna. 

Nel 1946 il sindaco Bertocchi testimonia come

l’intera villa (il Ghisiliere) fu occupata dal Comando delle S.S. che in detta località compirono le più crudeli soppressioni di anime rastrellati dalle zone limitrofe”.[158] Anche sui giornali locali nell’immediato dopoguerra si ricorda l’orrore perpetrato all’interno di questo comando nel primo anniversario delle fucilazioni del 18 ottobre 1944.

A Pontecchio Marconi, e precisamente al Colle Ameno e nelle immediate adiacenze sono state scoperte decine di fosse zeppe di cadaveri di poveri rastrellati selvaggiamente trucidati dagli sgherri delle SS germaniche. Quando le SS presero possesso di Colle Ameno, al pianterreno della parte centrale della villa si forma un campo di concentramento per rastrellati che i tedeschi lasciano quasi morire di fame. Di quando in quando dalla massa prelevano delle decine di uomini e le rinchiudono in una camera isolata dove rimangono due giorni. Poi scompaiono misteriosamente. Esattamente un anno fa alcuni rastrellati furono prelevati, trasportati nel frutteto che si trova di fianco alla chiesetta, e abbattuti a colpi di mitra.[159]

In un primo ragguaglio fatto dal Sindaco il 25 maggio 1945 si leggeva come nel terreno attorno alla villa Davia vi fossero «una cinquantina di civili italiani trucidati dai tedeschi durante i rastrellamenti e insufficientemente sepolti».[160] Questa cifra è stata in seguito modificata in 19 da Renato Giorgi, e, infine, in un ultimo calcolo pare che le salme ritrovate attorno al Ghisilere siano 21 di cui 12 riconosciuti e 9 ignoti. I primi cadaveri vennero tolti dalle fosse comuni nell’ottobre 1945 e delle successive esumazioni venne data notizia sui giornali locali, dapprima per comunicarlo a chi ancora non sapeva della sorte di persone scomparse durante la guerra e a chi avesse potuto riconoscere le salme

Per iniziativa della Camera del lavoro, dei partiti comunista e socialista e del Fronte della gioventù [formazione giovanile del Pci] di Sasso Marconi si procederà alla riesumazione dei cadaveri del campo di concentramento di Colle Ameno. Tutti coloro che potranno facilitare il riconoscimento delle salme sono invitati a presenziare alle riesumazioni che avrà inizio nella mattina di sabato prossimo [13 aprile 1946].[161] Una settimana dopo il «Progresso d’Italia» dava conto dei risultati delle esumazioni. Il camposanto di Pontecchio accoglie nuove salme di rastrellati. Altre vittime della ferocia nazista, che si abbatté a Colle Ameno sono state riesumate. Assistevano le madri e i parenti delle vittime che ancora non sono state ritrovate, sperando che dalle ricerche almeno il corpo consunto riapparisse dalla fossa.

Fra i quattro cadaveri recuperati è stato riconosciuto solo Ferruccio Caselli, invalido agli arti inferiori. Le salme venivano poi trasportate in processione al cimitero di Pontecchio. Ancora parecchi corpi giacciono entro le buche che i tedeschi avevano costruito nei pressi di Villa Rizzi sede del comando. Le ricerche saranno certamente riprese, al fine di dare sepoltura onorevole a chi dovette subire ingiustamente l’odio del nemico.[162]

Riesumazioni

Riesumazioni

I riconoscimenti non erano facili, a volte era un particolare quello decisivo, dopo la liberazione, quando si instaurò la giunta comunale e le persone piano piano cominciarono a tornare verso i paesi e le frazioni sulla collina, oltre ai numerosissimi problemi logistici e di sussistenza[163], dovettero cominciare a cercare nei luoghi dei massacri e delle fucilazioni le persone che erano scomparse durante gli eventi bellici. Il territorio del comune di Sassi Marconi aveva subito gravissimi danni durante la guerra, essendo colpito dai bombardamenti vista la sua posizione, e, ad un primo calcolo effettuato all’inizio del mese di maggio, risultò che il 75% delle abitazioni era andato completamente distrutto, mentre il restante 25% era danneggiato o parzialmente sinistrato[164], questa situazione fece sì che bisognasse trovare un alloggio, foss’anche provvisorio, alle persone che avevano perso la loro casa. Colle Ameno divenne, in questa fase, alloggio per queste persone che dopo l’esperienza dello sfollamento tornavano e non trovavano la loro casa. Anche il nostro borgo era però stato danneggiato e non si rivelò, a lungo andare, un luogo adatto. Infatti, quando ancora all’inizio degli anni ’50 molte persone senza tetto alloggiavano qui, erano ancora 98 nel 1954 [165], si lamentavano della impraticabilità degli alloggi

Il sottoscritto prega di esaminare le condizioni di salute della mia famiglia, dovuta in parte all’umidità dell’abitazione, sita in Colle Ameno, essendo gli ambienti interrati e dal soffitto piove dentro.[166]

Ho due figli e la madre a carico, abitavo nella villa di Colle Ameno, fino a venerdì scorso, ma causa il parziale crollo del soffitto nella sala d’accesso al mio piccolo appartamento ho dovuto sistemarmi [in altro modo]. Il poco mobilio mi è rimasto a Colle Ameno, con il continuo pericolo di vedermelo sommergere dalle macerie da un’ora all’altra.[167]

Subito dopo la Liberazione la vita riprese, con le ansie e le difficoltà immaginabili, ma riprese anche la voglia di vivere e di divertirsi, soprattutto fra i più giovani

Alle Lagune ballavano, c’era una scuola, c’era l’aula della scuola che ancora non c’era la scuola, subito dopo la guerra, allora si ballava, si ballava dappertutto, c’era una voglia di divertirsi, pensi, 20 anni…..[168]

Villa Davia, oggi

Villa Davia, oggi

E anche a Colle Ameno si ballava, visto che alla fine di agosto del 1952 si era preparata una pista da ballo all’aperto.[169]

Nelle testimonianze raccolte abbiamo quindi ritroviamo descrizioni che richiamano alla mente tanti altri esempi di campi di prigionia tedeschi dove i rastrellati subivano violenza e potevano anche essere uccisi, inoltre, la sera, i militari si lasciavano andare a festini.

Venivano quindi internati a Colle Ameno uomini più o meno giovani che erano catturati dai tedeschi in vario modo, attraverso rastrellamenti. oppure durante il grosso spostamento che la popolazione fu costretta a fare a causa dell’evacuazione coatta.

Anche molte delle persone che scendevano da Marzabotto furono prese e nulla si è poi più saputo della loro sorte. I rastrellamenti non venivano fatti solo perché i soldati non erano occupati nei combattimenti essendo nel retro fronte [170], ma anche, e soprattutto, perché esistevano disposizioni precise per lo sfruttamento coatto delle risorse umane per l’economia di guerra.

Le fucilazioni di chi non ritenuto valido sono una drammatica realtà in questo campo retto dalla SS-feldgendarmerie.

Persone transitate da Colle Ameno di cui si conosce il nome[171]

  1. Baldazzi Dino
  2. Barbieri Guido
  3. Beghelli Giuseppe
  4. Berti Franco
  5. Bertocchi Aldo
  6. Boschi Fausto
  7. Boschi Libero
  8. Carboni Giovanni
  9. Carboni Pietro
  10. Cheli Mario
  11. Cheli Riccardo
  12. Collina Primo
  1. Collina Sergio
  2. Coralli Mario
  3. Coramelli Oreste
  4. Costa Oliviero
  5. Dall’Olio Giancarlo
  6. Dall’Olio Leardo
  7. Degli Esposti
  8. Faggioli Bruno
  9. Fanti Ardilio
  10. Fava Angelo
  11. Flando Grazio
  12. Frabetti Giorgio
  1. Gandolfi Arnaldo
  2. Garelli Alberto
  3. Gerardi Celso
  4. Giovanardi Enzo
  5. Giovanardi Ernesto
  6. Isola Edo
  7. Isola Pietro
  8. Laffi Olindo
  9. Lamandini Armando
  10. Lamma Bruno
  11. Lamma Enea
  12. Lamma Mario
  1. Lenzi Abelardo
  2. Lucchi Lino
  3. Mattioli Natalino
  4. Mazzini Alberto
  5. Mignani Giorgio
  6. Mortelli Armalio
  7. Muratori Renato
  8. Nanni Antonio
  9. Nanni Arturo
  10. Nicoletti Nello
  11. Pasini Vasco
  12. Pedretti Dino
  1. Pellicciari Giovanni
  2. Roveda Roberto
  3. Serra Gaetano
  4. Tolomelli Nello
  5. Tulipani Ernesto
  6. Vannini Giorgio
  7. Ventura Antonio
  8. Zaccaria Ferdinando
  9. Zani Angelo
  10. Zani Nerino
  11. Zardi Pietro
  12. Zecchini Augusto

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Note

  1. ^ F. Andrae, La Wehrmacht in Italia, Roma, Editori Riuniti, 1996, p. 24.
  2. ^ L. Klinkhammer, L’occupazione tedesca in Italia. 1943-1945, Torino, Bollati e Boringhieri, 1996, pp. 32 e 51-60.
  3. ^ Ivi, p. 70 e A. Speer, Memorie del terzo Reich, Milano, Oscar Mondadori, 1997, p. 368.
  4. ^ L. Klinkhammer, L’occupazione tedesca in Italia, op. cit., p. 131.
  5. ^ Ivi., pp. 95 e 169.
  6. ^ Creata nel 1933 e diretta dall'ingegnere e uomo politico Fritz Todt (1891- 1942) fu impiegata per la costruzione di opere di difesa militare sul confine occidentale, tra le quali la linea fortificata Sigfrido Costituì il nucleo originario di un esercito ausiliario, formato dalle unità del genio e da milioni di prigionieri di guerra e lavoratori stranieri reclutati coattivamente, che appoggiò le operazioni belliche della Wermachrt durante la guerra. Alla morte di Todt ne divenne responsabile Albert Speer.
  7. ^ Archivio storico comunale di  Sasso Marconi , d’ora in poi Acsm, cat. 8, anno 1943
  8. ^ Acsm, cat. 14, 20 giungo 1944.
  9. ^ La localizzazione è stata fatta grazie all’elenco delle bollette non pagate per la fornitura dell'energia elettrica ai locali occupati dai comandi o da truppe tedesche. I comandi tedeschi trovarono sede anche in altre ville: Villa Grifone, Villa Begliossi, Villa Acquaderni, Villa Ferri, Villa Achillini, Villa Quiete, fra le altre. Vedi elenco in Colle Ameno millenovecento44, numero speciale di Sasso & dintorni, anno VI – n. 19, p. 13.
  10. ^ Banca dati: La presenza militare tedesca in Italia 1943-1945. Lavoro curato da Carlo Gentile per l'Istituto Storico Germanico di Roma, Roma 2004. Ricerca per toponimo in http: //www.dhi-roma.it/ortdb.html?&L=11#
  11. ^ Fino al 15 settembre era presente nella villa anche il Kranken-Transport-Abteilung 562. Fonte: Banca dati: La presenza militare tedesca in Italia 1943-1945, cit.
  12. ^ Nel dopoguerra nel terreno circostante palazzo Rossi venne ritrovato un gruppo di 80 sepolture di militari tedeschi caduti in azioni di guerra, presumibilmente queste sepolture furono fatte fra l’ottobre 1944 all’aprile 1945. Acs., cat. 8, 8 aprile 1946.
  13. ^ Testimonianza di Giulia Morelli, raccolta da chi scrive nel 1994 in occasione della ricerca poi pubblicata nel testo La guerra sotto il Sasso. Popolazione, tedeschi, partigiani. 1940-1945, Istituto per la storia della Resistenza e della società contemporanea nella provincia di Bologna, Bologna, Aspasia, 1999
  14. ^ Fonte: Banca dati: La presenza militare tedesca in Italia 1943-1945, cit.
  15. ^ Testimonianza di Bruno Marchesi, in Colle Ameno millenovecento44, cit..
  16. ^ Colle Ameno millenovecento44, cit., p.
  17. ^ Acsm, cat. 10, f. 3, documento datato 9 marzo 1951.
  18. ^ Fin dai primi dell’ottobre 1943 erano stati emanati ordini in questo senso.  Alleato occupante è la locuzione con cui Klinkhammer definisce la Germania rispetto all’Italia,L. Klinkhammer, L’occupazione tedesca in Italia, cit., p .135.
  19. ^ Acsm, cat. 9, b. 149 a, anno 1944.
  20. ^ Ibidem.
  21. ^ F. Andrae, op. cit., p. 37
  22. ^ L. Klinkhammer, L’occupazione tedesca in Italia, cit.p. 372.
  23. ^ Ivi., p. 366.
  24. ^ L. Klinkhammer, L’occupazione tedesca in Italia, cit., pp. 380-384.
  25. ^ L. Klinkhammer, L’occupazione nazista  e la società tosco-emiliana a cavallo della Linea gotica secondo le fonti tedesche, in L. Arbizzani (a cura di), Al di qua e al di là della Linea gotica, Regione Emilia Romagna e Toscana, 1993, p. 292.
  26. ^ L. Klinkhammer, L’amministrazione tedesca di Bologna e il crollo della Gotica, cit., p. 143.
  27. ^ In Toscana quest'unità ha commesso una serie di crimini. Ringrazio Lutz Klinkhammer per avermi segnalato questo lavoro di Carlo Gentile.
  28. ^ L. Klinkhammer, Stragi naziste in Italia. La guerra contro i civili (1943-1944), Roma, Donzelli, 1997, p. 21.
  29. ^ Testimonianza di Savina Cremonini.
  30. ^ C. Venturoli, La guerra sotto il Sasso. Popolazione, tedeschi, partigiani. 1940-1945, Bologna, Aspasia,. 1999, p.
  31. ^ Si veda a questo proposito: L. Klinkammer, Le stragi naziste in Italia Roma, Donzelli, 1997; ed anche la mostra: Vernichtungskrieg. Verbrechen der Wehrmacht 1941 bis 1944 (Guerra di sterminio. Crimini della Wermacht dal 1941 al 1944), a cura di Hannes Heer,  Hamburg 1995.
  32. ^ Testimonianza di Bruno Marchesi, raccolta da Roberto Greco, giugno 2007.
  33. ^ Testimonianza di Franco Marchesi, raccolta da Roberto Greco, giugno 2007.
  34. ^ «Dal giorno 13 ottobre 1944 al 21 aprile 1945 il territorio di questo comune era dichiarato zona di operazioni militari e quindi inaccessibile ai civili» Acsm, certificato del Sindaco, 22 giugno 1945, cat. 14.
  35. ^ Acsm, cat. 8, 1 gennaio 1946, lettera del Sindaco.
  36. ^ Testimonianza di Anna Laffi, raccolta da chi scrive, 1994.
  37. ^ Franco Berti fu fermato dai soldati tedeschi a Monte chiaro.
  38. ^ Testimonianza di Arnaldo Gandolfi, in Colle Ameno millenovecento44, cit., p. 42.
  39. ^ Testimonianza di Lino Lucchi, raccolta da chi scrive, 1994.
  40. ^ Testimonianza di Anna Pazzaglia, raccolta da Roberto Greco, giugno 2007.
  41. ^ Ricordi di Carmen, in: «Le voci della luna», arci Luna, n° 3, dicembre 1997, Comune di Sasso Marconi, p. 17.
  42. ^ Testimonianza di Nerino Zani in Colle Ameno millenovecento44, cit, p. 44
  43. ^ Ricordi di Guido Comastri, raccolta da chi scrive, 1994.
  44. ^ Testimonianza di Antonio Bortolotti raccolta da chi scrive, 1994. cfr A. Bravo, A. M. Bruzzone, In guerra senz'armi, Bari, Laterza, 1995, p. 65
  45. ^ Testimonianza di Oliviero Costa. In La Resistenza a Bologna testimonianze e documenti Vol. V, Istituto per la storia di Bologna, 1980, p. 60.
  46. ^ Gianni Pellegrini,testimonianza raccolta da Roberto Greco, giugno 2007.
  47. ^ «Alle Pioppe c’era una filanda e ai prigionieri facevano fare i trasporti. Quelli che lavoravano lì hanno presi e li hanno portati in Germania assieme a mio padre, quelli che si ribellavano li hanno mitragliati».Testimonianza di Lucia Palmieri in Comune di Vergato-Istituto tecnico commerciale Luigi Fantini, Vergato, Esplorando il passato. Testimonianze e documenti della seconda guerra mondiale raccolti dalla II B, a.s. 1989-1989, Quarto inferiore, 1989, p. 105.
  48. ^ Renato Giorgi, Marzabotto parla, Venezia, Marsilio, 1996, pag. 12. e Colle Ameno millenovecento44, cit., p. 21
  49. ^ Cifra che sale a 955 se si considerano tutti gli omicidi compiuti dai nazisti e dai fascisti. Marzabotto quanti, chi e dove. I caduti e le vittime delle stragi nazifasciste a Monzuno, Grizzana e Marzabotto e i caduti per cause varie di guerra, Bologna, 1994, pp. 200 e segg.
  50. ^ Anna Pazzaglia, cit.
  51. ^ Testimonianza di Enzo Giovanardi, raccolta da Roberto Greco, giugno 2007
  52. ^ Testimonianza di Vasco Pasini, raccolta a cura dell’Anpi Sasso Marconi. DATA??
  53. ^ Testimonianza di Enzo Giovanardi, cit.
  54. ^ Intervista a Elena Adriana Patrignani figlia, e Mario Rosa, genero, del dottor Patrignani, raccolta da di scrive, 1996.
  55. ^ A. Albertazzi, L. Arbizzani, N. S. Onofri, Gli antifascisti, i partigiani e le vittime del fascismo nel bolognese (1919-1945), Istituto per la storia di Bologna, ad nomen.
  56. ^ «Il giornale dell’Emilia», 27 aprile 1946, 1 maggio 1946.
  57. ^ R. Giorgi, Cronache di allora e di dopo, Ape, Bologna, 1976, pp. 67-70
  58. ^ Ibidem
  59. ^ Vasco Pasini, testimonianza raccolta  acura dell’Anpi di Sasso Marconi.
  60. ^ Testimonianza di Arnaldo Gandolfi, raccolta da chi scrive, 1994.
  61. ^ Testimonianza di Giorgio Mignani in R. Giorgi, Sasso Marconi, cit., p. 204.
  62. ^ Testimonianza di Enzo Giovanardi cit.
  63. ^ Testimonianza di Giovanni Marchesi in La Resistenza a Bologna, cit.,p. 319.
  64. ^ Testimonianza di Arnaldo Gandolfi, cit.
  65. ^ Arnaldo Gandolfi, Colle Ameno millenovecento44, cit., pp. 40-41.
  66. ^ Ivi, p. 41
  67. ^ Molte delle violenze, compresi gli stupri, erano motivate dai soldati proprio come punizione per il tradimento dell’8 settembre. Su questo mi permetto di rimandare al mio "La violenza taciuta. percorso di ricerca sugli abusi sessuali fra il passaggio e l’arrestarsi del fronte", in: D. Gagliani, E. Guerra, L. Mariani, F. Tarozzi (a cura di), Donne guerra politica, “Quaderni di Discipline Storiche” n. 13, CLUEB, Bologna, 2000.
  68. ^ E. Collotti, Occupazione e guerra totale nell’Italia 1943-1945, in T. Matta (a cura di), Un percorso della memoria. Guida ai luoghi della violenza nazista e fascista in Italia, Electa,Venazia, 1996, pp. 21-22.
  69. ^ G. Ragionieri, Italia giudicata, Einaudi, Torino 1976, pp. 795-796
  70. ^ Intendendo l’ospedale militare dal tedesco
  71. ^ Testimonianza di Franco Marchesi, cit
  72. ^ Testimonianza di Zani Nerino, in Colleaameno44, cit., p.
  73. ^ Testimonianza di Filomena Vecchi, raccolta da chi scrive, 1994.
  74. ^ Testimonianza di Bruno Marchesi, Colleaameno44, cit., p.
  75. ^ Bruno Marchesi, Colleaameno44, p. 29.
  76. ^ Testimonianza di Bruno Marchesi, raccolta da Roberto Greco, cit.
  77. ^ Testimonianza di Remo Neri, Colleaameno44, p. 29.
  78. ^ Colleameno44, cit., pp. 33-34.
  79. ^ Loiacono Adelelmo, di anni 49. Nato a Corato (BA). Nel 1943 domiciliato a Sasso Marconi. Baritono. Venne fucilato dai tedeschi per rappresaglia in località Colle Ameno (Sasso Marconi) il 19/10/1944. A. Albertazzi, L. Arbizzani, N. S. Onofri, Gli antifascisti, i partigiani e le vittime del fascismo nel bolognese (1919-1945), Istituto per la storia di Bologna, ad nomen.
  80. ^ R. Giorgi, Sasso Marconi, cit., pp. 207-208.
  81. ^ Testimonianza di Bruno Marchesi, raccolta da Roberto Greco, cit.
  82. ^ G. De Luna, ....... A Torino durante la guerra, in A. Bravo, Donne e uomini nelle guerre mondiali, Laterza, Bari 1991.
  83. ^ R. Battaglia, Storia della Resistenza italiana, Torino, Einaudi, 1975, p. 39.
  84. ^ Gli alleati fecero le dovute ricerche e notificarono a Silvano Bonetti, tramite lettera di posta militare, (F.P.N. 40869), che Colle ameno 1944. Colleameno44, cit. Della vicenda di Colle Ameno, per quello che siamo riusciti a ricostruire, non vi è traccia nemmeno fra le denunce raccolte nel così detto “armadio della vergogna”.
  85. ^ Testimonianza di Franco Marchesi, raccolta da Roberto Greco, cit.
  86. ^ Testimonianza di Anna Pazzaglia, cit..
  87. ^ Testimonianza di Giuseppe Fava, raccolta da Roberto Greco, giugno 2007.
  88. ^ Testimonianza di Filomena Vecchi, cit.
  89. ^ Testimonianza di Bruno Marchesi, in Colleaameno44, p.
  90. ^ Testimonianza di Filomena Vecchi, cit.
  91. ^ Testimonianza di Enzo Giovanardi, cit.
  92. ^ Testimonianza di Vasco Pasini, Colleaameno44, p.
  93. ^ Giorgi  ...........
  94. ^ A. Albertazzi, L. Arbizzani, N. S. Onofri, Gli antifascisti, i partigiani e le vittime del fascismo nel bolognese (1919-1945), Istituto per la storia di Bologna, ad nomen.
  95. ^ Un partigiano della Santa Justa, Cevenini, fu fra gli organizzatori della fuga riuscita di cui si è detto.1944, 32.
  96. ^ Fra questi Pietro Beccari e Leone Bonetti uccisi il 18/10/1944 e Armando Lamandini, A. Albertazzi, L. Arbizzani, N. S. Onofri, Gli antifascisti, i partigiani e le vittime del fascismo nel bolognese (1919-1945), Istituto per la storia di Bologna, ad nomen.
  97. ^ Forse Guido Seleni della Stella Rossa, A. Albertazzi, L. Arbizzani, N. S. Onofri, Gli antifascisti, i partigiani e le vittime del fascismo nel bolognese (1919-1945), Istituto per la storia di Bologna, ad nomen.
  98. ^ Testimonianza di Aldo Nanni, raccolta da Roberto Greco, giugno 2007.
  99. ^ Marchesi, Colleaameno44, p.
  100. ^ Colleaameno44, ...........
  101. ^ Testimonianza di Enzo Giovanardi, cit.
  102. ^ Testimonianza di Atos Garelli, raccolta da Carmela Gardini, settembre 2007.
  103. ^ Testimonianza di Nerino Zani, cit. Porta D’azeglio è un'altra modalità di definire porta S. Mamolo.
  104. ^ Sede del distaccamento bolognese della Polizia di sicurezza affidato alle SS con a capo dapprima il capitano Hugo Gold e poi il capitano Julius Wilbertz. Questo ufficio collaborava con gli uffici della Rsi, quindi sia con la Prefettura che con il commissario straordinario per l’Emilia Romagna. L. Klinkhammer, L’amministrazione tedesca di Bologna e il crollo della Gotica, in B. Dalla Casa, A. Preti (a cura di), Bologna in guerra, Milano, Franco Angeli, 1995, p. 135.
  105. ^ Testimonianza di Aldo Nanni, cit.
  106. ^ L. Klinkhammer, L’occupazione tedesca in Italia, cit., p. 398.
  107. ^ Testimonianza di Vasco Pasini, cit.
  108. ^ Testimonianza di Franco Berti, raccolta da Roberto Greco, giugno 2007.
  109. ^ Testimonianza Enzo Giovanardi
  110. ^ Testimonianza di Lino Lucchi, cit.
  111. ^ Acsm, atto di notorietà, 27 agosto 1946 in le stragi naziste, progetto dell’Archivio comunale di Sasso Marconi.
  112. ^ Testimonianza di Alfonso Lambertini in M. Zappi, Antifascismo e Resistenza a Casalecchio di Reno. Testimonianze e documenti, Casalecchio di Reno, 1985, p. 75.
  113. ^ R. Giorgi, Sasso Marconi, cit., pp.206-207.
  114. ^ Testimonianza di Filomena Vecchi, cit.
  115. ^ Testimonianza di Gianni Pellegrini, cit.
  116. ^ Lo stesso episodio è raccontato anche da Camilla Malvasia in R. Giorgi, Sasso Marconi, cit., p. 202.
  117. ^ Testimonianza di Giovanni Marchesi, cit.
  118. ^ L. Klinkhammer, L’occupazione tedesca in Italia, cit., p. 42-44.
  119. ^ K. Scheel, Il terrore nazista e il saccheggio dell’Emilia Romagna, in L. Arbizzani (a cura di), Al di qua e al di là della Linea gotica, cit., pp. 373 e 376.
  120. ^ Testimonianza di Giovanni Marchesi, cit.
  121. ^ Testimonianza di Filomena Vecchi, cit.
  122. ^ Testimonianza di Gianni Pellegrini, cit.
  123. ^ Acsm cat 8, b. 162 a, anno 1946
  124. ^ I «Il Progresso», 18 ottobre 1945.
  125. ^ Acsm, cat 8, 25 giugno 1945.
  126. ^  «Il giornale dell’Emilia», 9 aprile 1946.
  127. ^ «Il progresso d’Italia», 19 aprile 1946.
  128. ^ C. Venturoli, La guerra sotto il sasso, cit., passim.  
  129. ^ Ascm, cat. 1, b. 157 a, anno 1945.
  130. ^ Acsm,cat. 12, 1954.
  131. ^ Acsm, cat. 1, 1 febbraio 1951
  132. ^ Acsm, cat. 1, 19 febbraio 1951.
  133. ^ Testimonianza di Martino Righi, raccolta da chi scrive, 1994.
  134. ^ Acsm, cat. 10, 28 agosto 1952.
  135. ^ Conversazione con don Dario Zanini, raccolta da chi scrive, 1993.
  136. ^ Lista ricostruita attraverso le testimonianze e le scritte lasciate dai prigionieri.

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